







Sant’Elia, una festa che viene da lontano
La festa in contrada Sant’Elia, a Locorotondo, affonda le sue radici in un passato antico, intriso di fede e tradizione popolare. Le prime testimonianze documentate risalgono al XVI secolo: negli atti notarili dell’epoca si fa menzione di una chiesa situata lungo l’antica strada per Castellana, che attraversava le contrade di Catuscio, Carrieri e Canale di Pile, l’attuale Canale di Pirro (fonte: Ricerche per una storia di Locorotondo, Liuzzi-De Michele - Cordasco).
Nel 1968, lo storico Baccari, nelle sue Memorie storiche di Locorotondo, scriveva:
“A circa un chilometro da Locorotondo, lungo la strada che conduce a Castellana passando per pozzo Calascione, fino a ottant’anni fa si vedevano i ruderi di un’antica chiesa chiamata Sant’Elia, da cui la contrada prese il nome. Da pochi anni alcuni fedeli hanno ricostruito la chiesa, a circa 400 metri dal sito originario.”
Questo racconto trova riscontro in un documento storico che riporta con precisione nomi e oboli dei 119 devoti che contribuirono alla costruzione dell’attuale chiesetta. La raccolta fondi ebbe inizio nel 1928 e la chiesa venne completata nel 1938. Tra i benefattori figurano anche due sacerdoti e un monsignore: don Michele Lisi, don Angelo Recchia e monsignor Giovanni Mastro di Napoli.
È quindi accertato che già nel Cinquecento esistesse una cappella dedicata al profeta Elia, il cui culto diede origine al toponimo della contrada. Le origini precise della costruzione restano avvolte nel mistero, ma la tradizione orale narra di un devoto che, dopo una visione in sogno del Santo, decise di edificare la cappella. Il documento ecclesiastico relativo alla chiesa parla infatti di un ampliamento della cappella preesistente, confermando che si trattasse di un piccolo luogo di culto.
Nel 1987 la chiesa fu ampliata per la seconda volta, grazie alla generosa donazione di un terreno da parte di un abitante della contrada. L’anno successivo, il 23 aprile 1988, fu realizzata la strada asfaltata che circonda la chiesa. Tra gli operai impegnati nei lavori vi era anche il signor Michele Palmisano.
Negli anni ’50, la chiesetta rappresentava un punto di riferimento per la comunità: vi si svolgeva il catechismo per i bambini e fungeva da centro di aggregazione spirituale. Intorno ad essa è sempre vissuto un profondo senso di devozione, che si manifestava anche nella festa annuale in onore del Santo.
Originariamente celebrata l’ultima domenica di ottobre, la festa coincideva con il periodo delle castagne, tanto che divenne nota come la “festa delle castagne e del vino nuovo”. Si racconta di un grande calderone dove le castagne venivano cotte, creando un’atmosfera di convivialità e calore, ancora viva nei ricordi degli anziani del luogo.
Il Santo veniva invocato anche per proteggere la contrada dai temporali. Quando il cielo si faceva minaccioso, una persona incaricata correva alla chiesa per suonare la campana, nel tentativo di scacciare il maltempo e la grandine.
La festa veniva organizzata grazie alle offerte volontarie dei fedeli. Spesso, data la povertà, si trattava di doni in natura: grano, ortaggi, prodotti della terra. Con il ricavato delle vendite si finanziavano momenti di festa semplici ma intensi: balli, racconti umoristici, giochi popolari per i più piccoli, come la corsa con i sacchi e l’albero della cuccagna. Ogni anno, in occasione della celebrazione, la statua del Profeta Elia veniva portata in processione fino a piazza Marconi, per poi far ritorno alla chiesa.
A causa delle frequenti piogge autunnali, negli anni ’60 la festa fu spostata alla seconda metà di settembre. Tuttavia, anche in quel periodo il maltempo continuava a ostacolare i festeggiamenti.
Per questo motivo, il neonato Comitato Festa, costituitosi nel 2023, ha deciso – in accordo con il parroco don Adriano Miglietta – di spostare ulteriormente la data all'ultima domenica di giugno, nella speranza di celebrare la festa in condizioni più favorevoli.
Nel corso del tempo, numerosi sacerdoti hanno servito la comunità della contrada Sant’Elia, contribuendo con dedizione alla vita spirituale della chiesa: don Peppe Luigi, don Michele Lisi, don Angelo Recchia, don Donato Fumarola, don Angelo Mirabile, don Mimì Giannoccaro, don Franco Pellegrino e, attualmente, don Adriano Miglietta.
L’organizzazione della festa e la cura della chiesa sono sempre state affidate al cuore e all’impegno dei residenti della contrada, che hanno custodito e trasmesso la devozione verso il profeta Elia di generazione in generazione. Una fede semplice, ma incrollabile, che continua ancora oggi a tenere viva l’identità e il senso di comunità della contrada Sant’Elia.
Autrice: Miriam Palmisano

Sant'Elia Profeta
Agiografia
Elia (il cui nome significa «il mio Dio è Jahvè») nacque verso la fine del X sec. a.C. e visse sotto il regno di Acab, che aveva imposto il culto del dio Baal. Elia si presentò dinanzi al re Acab ad annunciargli, come castigo, tre anni di siccità. Abbattutosi il flagello sulla Palestina, ritornò dal re e per dimostrare l'inanità degli idoli lanciò la sfida sul monte Carmelo contro i 400 profeti di Baal. Quando sul solo altare innalzato da Elia si accese prodigiosamente la fiamma, e l'acqua invocata scese a porre fine alla siccità, il popolo linciò i sacerdoti idolatri. Ma Elia dovette sottrarsi all'ira della moglie di Acab, Jezabel, seguace del dio Baal. Sconfortato, pregò Dio di farlo morire. Ma dopo un angelo, gli apparve Dio ed Elia comprese che il trionfo del bene avviene con pazienza, perché Dio domina il tempo.Il fiero profeta, che indossava un mantello di pelle sopra un rozzo grembiule stretto ai fianchi, come otto secoli dopo vestì, Giovanni Battista, di cui è la prefigurazione, tornò in mezzo al popolo di Dio, ma non assistette al pieno trionfo di Jahvè. Morì misteriosamente nell'850 a.C., su un carro di fuoco.
(Avvenire)
“E sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola”: il Siracide (48,1) descrive così uno dei più grandi profeti della storia religiosa dell’antico Israele. Eppure della sua vita non si conosce molto. Nasce a Tisbe nel IX secolo a.C., al tempo del re Acab, e dedica la sua esistenza ad allontanare il popolo dall’adorazione degli idoli per riportarlo verso il vero e unico Dio, coerente con il nome che gli è stato dato: Elia significa infatti: “Il Signore è il mio Dio”.
Precursore di San Giovanni Battista
Uomo virtuoso e austero, veste un mantello di pelle di cammello sopra a un semplice grembiule stretto ai fianchi, prefigurando così, con otto secoli di anticipo, Giovanni il Battista. Dotato di un cuore da guerriero e di un intelletto raffinato, unisce nel suo animo il fuoco ardente della fede e lo zelo nei confronti del Signore, tanto che Crisostomo lo definisce “angelo della terra e uomo del Cielo”. Secoli dopo, il Catechismo della Chiesa cattolica lo presenterà come modello di vita cristiana e di passione per Dio, “Padre dei Profeti, della generazione di coloro che cercano Dio, che cercano il suo Volto” (CCC, 2582).
Lo scontro con i seguaci di Baal
Un esempio eclatante della forza profetica di Elia si legge nel primo Libro dei Re, al cap. 18, che narra come ai tempi del re Acab Israele stesse cedendo alla seduzione dell’idolatria: infatti, adorava Baal perché credeva donasse la pioggia e quindi la fertilità ai campi, al bestiame e al genere umano. Proprio per smascherare questa credenza ingannevole, Elia raduna il popolo sul Monte Carmelo e lo pone davanti a una scelta: seguire il Signore o seguire Baal. Il profeta invita al confronto oltre 400 idolatri: l’uno e gli altri prepareranno un sacrificio ciascuno e pregheranno ciascuno il proprio dio affinché si manifesti. A rispondere in mondo inequivocabile è il Signore, “Dio di Abramo, di Isacco e di Israele” che brucia l’offerta per il sacrificio preparata da Elia su un altare composto da dodici pietre, “secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, alle quali il Signore aveva dato il nome di Israele”. Si converte così il cuore del popolo, di fronte all’evidenza della Verità. Resta muto e impotente, invece, Baal perché - e questo è l’insegnamento di Elia – “la vera adorazione di Dio è dare se stesso a Dio e agli uomini, la vera adorazione è l’amore” che “non distrugge, ma rinnova e trasforma”. (Benedetto XVI, Udienza generale 15 giugno 2011).
L’incontro con il Signore sul monte Oreb
Una nuova prova, però, attende il profeta: lui, che ha lottato tanto per la fede, deve sfuggire alle ire della regina Jezebel, idolatra moglie di Acab, che lo vuole morto. Stremato ed impaurito, Elia chiede a Dio di morire e si abbandona a un sonno ininterrotto. Ma un angelo lo sveglia e gli ordina di salire sul monte Oreb per incontrare il Signore. Elia obbedisce: cammina per 40 giorni e 40 notti per raggiungere la meta, in un viaggio che è la metafora del pellegrinaggio e della purificazione del cuore verso l’esperienza di Dio.
Il silenzio sonoro
Come prefigurato, l’incontro con il Signore avviene, ma non in modo eclatante: Dio si palesa, infatti, sotto forma di una brezza leggera. È un “filo di un silenzio sonoro” - così lo spiegherà Papa Francesco nella Messa mattutina in Casa Santa Marta del 10 giugno 2016 - che esorta Elia a non scoraggiarsi, a tornare sui propri passi per portare a compimento la sua missione. E il profeta, coprendosi il volto in segno di adorazione e di umiltà, obbedisce alla chiamata di Dio perché ne comprende il valore: quello della prova, dell’obbedienza e della perseveranza. Nuovamente, quindi, Elia sfida Acab e Jezebel che avevano usurpato il terreno di un contadino, profetizzando loro terribili sventure fino ad indurli al pentimento. Il profeta allevia anche la sofferenza e la miseria di una vedova, sfamandola e guarendone il figlio ridotto in fin di vita. Una volta compiuta la sua missione, Elia scompare, ascendendo al cielo su un carro di fuoco ed entrando nell’infinito di quel Dio che aveva servito con tanta passione. Sulla terra resterà il suo mantello, destinato al discepolo Eliseo in segno d’investitura.
Lo zelo profetico
Oggi l’ordine religioso degli Eremiti del Monte Carmelo richiama questo grande Profeta nel suo stemma a forma di scudo: in esso è raffigurato un braccio che impugna una spada di fuoco e un nastro con la dicitura “Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercitum”, ossia “pieno di zelo per il Dio degli eserciti”.
(Vatican News)
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